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mercoledì 6 luglio 2016

Specchi. D'acqua.


Uno viene buttato in uno stagno con acqua più o meno alta a seconda dei punti e fondo melmoso.
In questo lago limaccioso ci sono, in sospensione o in sedimentazione, un sacco di robe, belle, medie e anche brutte.

Uno, a starsene lì immerso, a guardare tutte ste robe sparse, a vedere sto fondale melmoso, che può fare?

Può galleggiare in superficie, a pancia in su o in giù.

A pancia in su non vede nient'altro che il cielo, poniamo che sia un cielo delle stelle fisse. Se ne sta lì con il naso in aria, con l'acqua a filo delle orecchie, e fissa fissamente le stelle fisse. Che noia. Poi magari, nella noia, uno dà due o tre bracciate, prende una craniata in un roccione spongiforme e puntuto che se ne sta, fisso pure lui, in mezzo allo stagno, e addio.

Se se ne sta a pancia sotto, magari con la maschera da snorkeling del Decathlon che manco il silenzio degli innocenti, vede tutto quello che succede, le robe sospese o quelle che si muovono su e giù, ma può interagire solo con quelle che gli arrivano a portata di mano o che può raggiungere nuotando al pelo della superficie. La visione intorno rimane limpida, al massimo si prende un colpo d'aria a starsene proprio sul filo dell'acqua con la schiena fuori e il venticello che lambisce i lombi sciacquettati dalle ondine, ma tutto sommato ci si accontenta.

Se uno è curioso, invece, magari fa un po' di iperventilazione, prende un bel respirone e va giù. Andando giù, scandaglia di più le profondità, può interagire con più robe sospese, e può addirittura andare a sfrugugliare quelle che sono piantate nella melma del fondale. Certo, quelle si vedono meno, ma si sa, gli oggetti pesanti tipo i metalli preziosi vanno sempre giù, si conficcano, si nascondono.
E così, se uno vuole prendere una delle robe conficcate, deve sbattersi, rischiare di soffocare se non ha preso un respiro abbastanza ossigenato, e soprattutto smuovere il limo che c'è sul fondo.
Smuovere il limo significa ritrovarsi in breve in un'acqua così torbida da non vedere più una mazza.
L'oggetto sepolto, se si riesce a prendere, si potrà solo toccare con mano, palpare per capire di che si tratti, con il rischio che possa anche essere qualcosa di pungente, mordente, tagliante, insomma pericoloso. E poi non si vede più la realtà come prima. Se ne ha davanti una nuova che è anch'essa realtà, una realtà che manco si vede. Non si sa più cosa ci sia intorno, come quando c'è la nebbia e si può ridipingere tutto con la propria immaginazione sulla tela bianca che propone la natura.
Può portarsi l'oggetto in superficie, aspettare che il torbido si sedimenti nuovamente, capire bene cosa si è recuperato, sempre che sia sradicabile. Se non è sradicabile e lo si vuole tenere, non si avrà altra scelta che starsene sul fondo, stringerlo finché  ossigeno non finisca, o confidare nei progettisti Decathlon che presto fabbricheranno una maschera da Hannibal Lecter con tubo snodabile di varie lunghezze fino a - 254 m.
In ogni caso, se si vuole indagare nel profondo non ci si può esimere dallo sviluppare un torbidore, quello che in piemontese si dice rendere l'acqua strrrrbula (con tante r e la u dieresata). E lo sturrrbulo, una volta sviluppato, mica se ne va facilmente. Crea un alone che andrà via solo se uno torna in superficie, non sfruguglia più il fondo nemmeno con movimenti inconsulti del corpo, se ne sta mummificato a galleggiare, con o senza l'oggetto prelevato, che sia o no conforme alle aspettative.
Certo, però, chi ha detto che vedere chiaramente quello che c'è nello stagno dall'alto sia l'opzione migliore?
Magari per qualcuno lo è;
per qualcun altro, invece,
è più interessante
indagare il fondo
disegnare sulla tela che il torbido gli offre,
scoprire ciò che è coperto,
diseppellire ciò che è sepolto,
con il rischio
di affondare nelle sabbie mobili limacciose
e lì rimaner(ci).

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