LE COSE CHE SCRIVO IN QUESTO BLOG SONO FRUTTO DELLA MIA FANTASIA (BACATA).
QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALMENTE ESISTENTI E' CAUSALE.

venerdì 18 giugno 2010

Kundera docet...

Vi incollo qui due pezzi significativi del libro di Kundera che sto leggendo, questo:


Sapete cosa succede quando due persone chiacchierano. Uno parla e l'altro gli toglie la parola: E' proprio come me, io... e si mette a parlare di se stesso finché il primo non riesce, a sua volta, a dire: E' proprio come me, io...
Questa frase, è proprio come me, io...,può sembrare un'eco approvatoria, un modo di continuare la riflessione dell'altro, ma è un abbaglio, uno sforzo per liberare dalla schiavitù il proprio orecchio e per occupare con la forza l'orecchio dell'avversario. Giacché tutta la vita dell'uomo tra i suoi simili non è altro che una lotta per impadronirsi dell'orecchio altrui.


La grafomania (mania di scrivere i libri) diviene fatalmente un’epidemia di massa quando il progresso di una società raggiunge tre condizioni fondamentali:
1) un alto livello di benessere generale che permette alla gente di dedicarsi ad attività inutili;
2) un alto grado di atomizzazione della vita sociale e il conseguente, generale isolamento degli individui;
3) una radicale mancanza di grandi cambiamenti sociali nella vita interna della nazione(da questo punto di vista mi sembra sintomatico che in Francia, dove non succede assolutamente nulla, la percentuale di scrittori sia ventun volte maggiore di quella di Israele. Del resto Bibi si è espressa benissimo quando ha detto che, visto dal di fuori, non ha vissuto nulla. E’ proprio questa assenza di contenuto vitale, è questo vuoto il motore che spinge a scrivere).
L’effetto, tuttavia, si ripercuote sulla causa. L’isolamento generale crea la grafomania, ma la grafomani di massa rinforza e aumenta l’isolamento generale. L’invenzione della stampa permise un tempo agli uomini di comprendersi a vicenda. Nell’era della grafomani universale, il fatto di scrivere libri assume un significato opposto: ognuno si circonda delle proprie parole come di un muro di specchi che non lascia filtrare alcuna voce dall’esterno.

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