LE COSE CHE SCRIVO IN QUESTO BLOG SONO FRUTTO DELLA MIA FANTASIA (BACATA).
QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALMENTE ESISTENTI E' CAUSALE.

lunedì 14 maggio 2007

Baia degli angeli

Oggi ho troppo ma davvero troppo mal di testa perchè da tutto questo dolore possa uscire qualcosa di sensato. Penso che se mi sofferò ancora una volta il naso morirò qui e questo sarà l'ultimo post. pertanto vi incollo qui un racconto che ha perso la selezione per il corso "Sono tutte storie" della Biblioteca Civica di Cuneo (abbiate pazienza, non ce la faccio a linkarvi concorso e biblioteca, ma in google li trovate).

Angeli, dove siete?
Cammino sul lungomare della vostra Baia.
Aspetto un vostro segno.


Guardo i sassi della spiaggia, tutti uno vicino all’altro, dove li avevo lasciati.
L’aria tiepida mi accarezza il viso.
Il sole si sta per coricare sul letto lineare dell’orizzonte. Più si avvicina al suo giaciglio notturno, più il cielo intorno arrossisce. Come se ogni sera, o quasi, questo incontro con gli elementi della Natura gli desse la stessa emozione.
Io, è da tantissimo che non arrossisco più.
Da giovane, arrossivo sempre.
Arrossivo troppo.

Angeli, dove siete?
Sono qui per voi.


Questo tramonto sembrerebbe un dono, un dono di un dio di cui non so nulla.
Non più.
E voi, Angeli della baia, chi siete?
Pinne di squalo che rifrangono i riflessi della luna con le loro pareti d’argento.
Illusioni di che vuole illudersi per trovare la pace.
E allora, cosa ci faccio qui?

Le mie mani, appoggiate alla ringhiera, sono screpolate, rigate dal tempo. Eppure sono sempre quelle che anni fa si erano appoggiate proprio a questo pezzo di metallo. Sempre quelle che anni fa avevano stretto quelle altre mani affusolate, proprio qui.
La mia mente, straripante di anni, è la stessa che pensava che quelle mani sarebbero state là per sempre.
E ora, invece, ecco le mie, di mani.
Le mie e basta.

Cosa ci faccio, qui?
Perché sono venuta qui?
Cosa credevo di trovare?
Come credevo di sentirmi?
Pensavo di avere sensazioni piatte e monocordi, come al solito?
O lo sapevo, che, in fin dei conti, sarebbe stato tutto come prima?
Lo sapevo che avrei sentito questo calore salirmi su per il collo, proprio dietro l’orecchio, come se una piuma rovente mi stesse solleticando la carne?
Sapevo che avrei sentito una goccia inevitabile imprevista percorrermi la guancia solcata da chissà quante rughe in più e lacrime in meno di quelle che avrei potuto avere?
Ma cosa ci faccio qui?
Sono ridicola.
Solo ridicola.

Mi giro, e avanzo tra ragazzi sullo skate famiglie in bici giovani sui roller passeggini cani. Cani, ce ne sono sempre stati, qui. Qui, è cambiato poco, in questi cinquant’anni.
Come sono cambiata, io, invece. Com’ero quando ero qui.
Disposta ad andare fino in fondo a qualunque costo.
Ascoltavo solo me stessa.
E mi sentivo addosso una felicità assoluta.
Che stupida.
Una felicità assoluta per due anni, una felicità relativa per altri cinquanta.
L’avevo detto, io.
Mi passerà.
Anzi, l’avevano detto loro.
Ti passerà.
Tutto passa.
E poi, si sa, è così per tutti.
Non ci crederai, ma quando sarai vecchia dirai: “Che stupida che ero”.
Ora sono vecchia.
Settantadue anni è un’età da vecchia.
Nulla è passato.

Angeli, ho aspettato cinquant’anni.
Per favore.


- Scusi.
Sobbalzo. Mi giro. Un bambino in bici mi sta tirando la maglia.
- Devo passare di qui. Sto facendo il percorso.
- Scusa, mi sposto subito.
Gli sorrido. Arretro in modo da lasciarlo passare.
Lui mi ringrazia, e mi sembra di conoscerlo, questo ragazzino.
No, non è possibile, sono anni che non vengo qui.
Una vita.

Senza sole, fa più freddo. Mi avvolgo nel golf. Decido di camminare per riscaldarmi.
Il bambino continua ad andare su e giù, descrivendo circoli concentrici intorno a me.
Ogni volta mi sorride e mi guarda con grandi occhi scuri.
Ha le ginocchia tutte sbucciate. Una sovrapposizione di ferite riaperte ancor prima di essere rimarginate.
- Ciao eh. Sei ancora bella. Quasi come nella foto.
Fa un’ultima sgommata, mentre mi grida le ultime parole prima di buttarsi in una stradina della città vecchia.
Io rimango in piedi in mezzo alla promenade.
Inebetita.
Che foto?

Poi, torno in hotel.
Il bimbo della bici pedala su e giù per la mia mente.
Domani sarà comunque l’ultimo giorno: basta con questa pagliacciata.
Ormai, la receptionniste mi saluta come farebbe con la zia. La mattina, sa già quante marmellatine voglio, e che il croissant mi piace caldo. Lo so, che il croissant caldo è del giorno prima, che lo passa in forno. Ma io lo preferisco a quelli freschi. Ormai, mi concedo solo più quello che mi piace.

Ultima passeggiata.
Il sole è tornato su, in punta al cielo.
E’ domenica.
Passeggio sul solito tratto di promenade.
Sono quasi contenta, di tornare a casa stasera.
Avrò un bel po’ da pulire.
Anche se nessuno si lamenterà se non lo farò.

- Scusi. Il percorso.
Rieccolo. I due occhi grandi scuri mi guardano ridendo.
- Prego, passi pure, Signor ciclista!
Il bambino mi sfodera una fila di denti bianchissimi, poi sgomma a pochi centimetri dai miei piedi.
Lo guardo allontanarsi.
Frena davanti a un signore con i capelli bianchi lanosi. Pochi capelli. Ai lati della testa.
Si china, per sentire meglio quello che gli sta dicendo il bimbo.
Poi guarda nella mia direzione.

Ma allora gli angeli esistono.


Non mi muovo.

Ma allora gli angeli mi hanno ascoltata.

Mi muovo.
Cammino velocemente nella direzione del duetto.
Quello che deve essere il nonno del piccolo ciclista continua a fissarmi.
Mentre mi avvicino, intercetto dei pezzi di dialogo:
- E’ lei.
- Ma lei chi?
- Quella della foto.
- Ma quale foto?
- Quella che c’era in cantina l’altro giorno. Quella nella cornice di cartoncino marrone.

E’ lui.
Lo sapevo.
Ecco perché quegli occhi e quel sorriso mi erano familiari. Erano i suoi.
Allora, l’aveva avuto quel figlio.
Almeno uno.
Io no.
Come avrei potuto?

Mi devo appoggiare alla ringhiera.
Si avvicina.
Mentre mi passa davanti, si gira verso il bambino:
- Ma quale cartoncino marrone?
- Era in fondo a uno scatolone. Tu eri con lei, in piedi, e sorridevi.
- Invece di frugare, potevi fare un po’ più in fretta a togliere tutto quel pattume di mezzo.
Di scatto, si volta di nuovo verso di me.
Lo guardo negli occhi grandi e scuri.
Vorrei comunicargli questi cinquant’anni ad aspettarlo.
Questi cinquant’anni a trattenermi dal chiamarlo, ché tanto mi avrebbe fatto solo del male.
Questa mia vita senza di lui.

- Guarda, c’è un tipo che fa già il bagno!
Il suo sguardo mi attraversa.
Sono uno dei tanti anziani a passeggio sulla promenade.

Mi giro.
Vedo un signore rubizzo che entra in acqua senza esitazioni.
Mi rivolto immediatamente.
Ma lui è passato oltre.
Indica un cane, ride con il nipote.
Non distolgo lo sguardo dalla sua schiena.
Ora si girerà, tornerà indietro, mi abbraccerà, e mi terrà la mano, come prima, come allora.
Mi dirà che ha aspettato anche lui per cinquant’anni questo momento.

E invece no.

La schiena diventa un’unghia che gratta il confine tra la terra e il cielo.

Poi un puntino chiaro.

Poi, il nulla.

Gli Angeli, del resto, mica esistono.
E se esistono, hanno altro da fare.

2 commenti:

  1. non ho letto le altre "storie" del concorso, ma questa sicuramente merita! Brava MattY, ciao....
    "Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare"

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  2. Ma identificatevi!
    Mi piacerebbe sapere chi è questo pazzo individuo che mi dice brava Matty (tenuto conto che forse un'idea ce l'ho, non sono in molti a chiamarmi Matty)

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