LE COSE CHE SCRIVO IN QUESTO BLOG SONO FRUTTO DELLA MIA FANTASIA (BACATA).
QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALMENTE ESISTENTI E' CAUSALE.

domenica 25 marzo 2018

Come eliminare ogni fatica con fatica

Ogni tanto si diventa campioni di industriosità nell'assecondare la pigrizia.
Ergo, si primeggia nel faticare tantissimo al fine di faticare pochissimo.
In tempi passati sono stata maestra nell'arte del privarsi del tutto del tempo libero con lo scopo di avere tanto tempo libero.

Adesso vi rivelo l'arte di privarsi del tempo libero per assecondare la propria pigrizia faticando un casino, ma seduti a un tavolo.

Si tratta di una storia vera occorsa venerdì.

Quando si riceve a casa il fatidico avviso di pagamento del bollo dell'auto, il primo istinto è pagarlo on line.
Semplice, rapido, indolore.

Si guardano le istruzioni: c'è scritto, perlomeno da noi in Piemonte, che, in assenza di conti in Posta, al San Paolo o alla Unicredit, tutte assenze a cui io aderisco perfettamente, si può ricorrere al simpatico Pag@bollo su Sistemapiemonte.
Gioisco perché a suo tempo, registrandomi on line, andando a fare una piacevolissima coda in posta per identificarmi, un'altra in un altro posto per diventare un utente di livello avanzato con le credenziali tipo stellette dell'esercito, adesso posso tranquillamente usufruire di un sacco di servizi comodamente seduta al pc.
Entro nella sezione pag@bollo (leggesi pagetbollo).
Inserisco tutti i dati.
Magicamente mi compare l'esatto importo di 202,02 €.
Procedo cliccando sul tasto procedi al pagamento.

Che meraviglia, la tecnologia.

Chi me lo avrebbe fatto fare, di scendere le scale, guadagnare il bancomat a ben 300 m di distanza, transitare dal Tabaccaio sotto casa e pagare il bollo in quel modo antidiluviano, totalmente out e faticosissimo?

Compare una lista di metodi di pagamento, in cui c'è un meraviglioso motore di ricerca delle possibilità.
Paypal, Visa, niente di niente.
Troppo antichi.
C'è una serie impressionante di Banche mai sentite nominare per fare il bonifico, ma non la mia, che tra l'altro è conosciutissima. Si vede che al piemontese che ha creato Sistemapiemonte, la mia banca puzzava di falso (e scortese).

Una boa mi appare nel mare magnum di metodi di pagamento da me inutilizzabili: Satispay.
Celo, evviva!
Clicco su paga con Satispay.
Mi ricordo che il mio massimale è di 35 € a settimana.
Devo modificare il massimale.
Devo aspettare fino a lunedì che mi carichino quello nuovo.
Sempre meglio che scendere le scale, fare 300 m, risalire le scale.
Accedo.
Modifico il massimale.
200 € massimo.
Maledizione: il destino avverso vuole che mi manchino ben 2,02 €.
Devo trovare un modo per evitare di fare lo sforzo fisico di cui sopra.
Mi ricordo che il venerdì c'è il cash back del 20%.
Mai usato, quindi rimane il dubbio atroce se si carichi sul massimale della settimana in corso (pericolosamente probabile) o su quello della settimana dopo.
Noncurante del pericolo, procedo nel calcolo della seguente proporzione:
2,02:20=x:100
Deduco che x=10,10€
Devo spendere 10,10 € con Satispay oggi che è venerdì, in modo da avere un cash back di 2,02 € nella speranza che sia caricato sul tetto futuro.
Mi viene in mente di andare a comprare 6 gelati da 2,50 nella gelateria a 500 m di distanza, ma poi realizzo che sarebbe antieconomico e ingrassante.
No, non ci siamo.
Mi ritroverei più grassa, con più metri percorsi, con più tempo trascorso lontano dalla sedia che a fare il percorso casa-bancomat-tabaccaio-casa.

Idea: cercare gli acquisti on line possibili con Satispay.
Trovo l'elenco.
Vado su tutti i siti.
Non c'è nulla che mi possa essere lontanamente utile, e che costi in tutto 10,10 €.
Tempo richiesto per lo spulciamento di tutti i prodotti di tutti i siti, 2 ore.

Tempo impiegato per cercare una soluzione web: 3 ore.

Rinuncio.

Vado a correre, ché è importante fare attività fisica quotidiana.

O magari no.

Troppa fatica.

sabato 24 marzo 2018

Il silenzio al di sotto dei suoni

Quando sei l'artefice di un tipo di arte che non richieda la compresenza di artista e fruitore, nonché necessiti di un po' di tempo di assimilazione, il feed back è sempre un casino.

Generalmente, al livello zero, è un po' come su BlaBlaCar: i passeggeri che trovano che guidi benissimo ti fanno il feed back a 5 stelline, mentre quelli che ti reputano un pericolo pubblico, se hanno la possibilità di farlo, non ti mettono comunque una valutazione negativa.
Spariscono, tacciono per sempre, anche quelli che non spariscono in senso fisico di caro estinto.

Questo significa che per l'artista a livello zero è essenziale capire il silenzio.
Venti amici che frequentava hanno visto il dvd del suo film?
Cinque gli hanno detto che è magnifico, gli altri quindici non rispondono più a telefono, mail e hanno cambiato indirizzo?
L'artista può farsi due calcoli veloci veloci.

Può contare sul fatto che non diventerà mai famoso, ma, se mai lo diventasse, si capovolgerà completamente la situazione: chi lo disprezzerà gli farà i complimenti, e chi lo apprezzerà esprimerà pessimi giudizi sul suo conto, specie su media vari.

Che non si sa mai,
la buona arte, per essere apprezzata in santa pace,
conviene che non si sappia troppo in giro.

venerdì 23 marzo 2018

I suoni al di sotto del silenzio

L'uomo inteso come maschio ha l'atavica deformazione mentale di voler sempre difendere l'uomo inteso come femmina.

Questo accade dagli inizi della storia, quando, mentre la donna raccoglieva bacche, lui andava ad affrontare i mufloni per permettere a tutti di avere una dieta onnivora.

Adesso, però, la donna non ha più bisogno di essere difesa dai mufloni che intende far diventare parte integrante della sua cena, anche perché è in atto una deonnivorizzazione probabilmente legata a questo veganesimo dilagante, che nei libri di storia futuri sarà probabilmente catalogato nella rubrica giallina "Curiosità e stranezze dell'epoca", o anche nel trafiletto azzurrognolo "Gli effetti del più lungo periodo senza guerre nell'Europa del XX-XXI secolo", in altri ancora nel capitolo "Credenze popolari e religiose nel XX-XXI secolo", e qui mi fermo perché dovrei aver accumulato un'adeguata quantità di punti disprezzo, ché si sa che chi disprezza compra.

Adesso, la donna, tendenzialmente, non ha più bisogno di essere difesa quasi da nulla, se non dall'uomo stesso.
Avendo questo atavico bisogno, l'uomo-uomo procede nel difenderla appunto dall'unica entità da cui può difenderla: sé stesso.

Questo è il vero nocciolo della crisi dell'uomo contemporaneo: si tratta di un povero individuo scisso, carnefice e difensore della stessa donna (o anche, e spesso, di più di una).

E' ineluttabile che l'uomo non possa assolutamente comportarsi bene con una donna: da cosa potrebbe poi difenderla, dopo aver eliminato l'ultima fonte di disagio e malessere?
E in che modo difenderla da sé stesso?
Facendo lo stronzo, e poi tacendo sulla propria stronzaggine.
Facendo lo stronzo, e poi negando la propria stronzaggine, generalmente con l'efficace metodo del silenzio.
In questo modo silente non mente, ma la donna, che possiede nugoli di neuroni attenti a tutto e recettori in grado di captare, a partire dalla pancia, quasi tutti i segnali verbali e non verbali, telepatici, cinetici, e chi più ne ha più ne metta, sente che c'è qualcosa che non quadra.
E cosa fa?
Si rifugia presso l'uomo per essere difesa da questa entità che la minaccia.
Ma in realtà, lei, sentendo, SA.
Sa che la specie umana ha quell'istinto di sopravvivenza che fa sì che la donna finga di non capire il silenzio dell'uomo.
Ché poi così, la donna si sposa un qualsiasi uomo silenziosamente ambiguo (uno vale l'altro), ci fa un po' di figli, mentre lui ne fa anche un altro po' su altri fronti, giustificato -ma silenziosamente- da quest'animale tendenza alla procreazione, e dovrebbe finire così.
Però c'è sto fatto che la donna ha il nugolo di neuroni, e mentre l'uomo con i suoi due trova che vada benissimo così, lei ci riflette, e si dice che forse, i suoni al di sotto del silenzio, sarebbe stato meglio sentirli prima.

martedì 20 marzo 2018

Il sottile confine tra l'estasi e la noia

Dovete (ma anche no, forse potete, opzionalmente) sapere che, in qualità di blogger, ho un'applicazione che si chiama Color note sul cellulare, e su quest'applicazione scrivo le mie idee di post, in un foglio di color giallino, perché si può scegliere tra una limitata serie di colori smorti.

Quando scrivo queste note è sempre un momento in cui non posso scrivere, di quelli che ti vengono le idee ma non puoi, e allora ti arrabatti a scrivere dove riesci, e una volta erano le carte del prosciutto, adesso è il cellulare, ché tanto piuttosto che uscire senza torni indietro e arrivi in ritardo dove dovevi andare, ma senza no. Senza mai.

Poi, quando torno a casa, mi metto davanti al pc, e, se mi è passata la frenesia del blogger indemoniato, accedo alla pagina di editing e vedo il cursore bianco che slampeggia il genio, ammesso che ce ne sia uno.

Rifletto un po', in preda a uno sconforto da cursore lampeggiante, poi mi dico che posso andare a consultare Color note.

La maggior parte delle note che ho scritto, non capisco a cosa si riferiscano.

Quindi stanno lì, a stagionare, e ogni volta che le rileggo in preda a esigenza di idee da post, capisco meno a cosa si riferiscano.

Però, questa, quella che dà il titolo al post di oggi, è bella.

Il sottile confine tra l'estasi e la noia. 

Chissà che volevo dire.

Probabilmente sono cose che si capiscono solo quando si è in cresta al confine.

Quando si è nella noia ma si intravede l'estasi, si sente quell'energia che cresce dentro e non si sa perché, dato che ci si sta annoiando da un considerevole periodo di tempo, trascinando le proprie scazzate (anche se si è maschi) membra tra la TV, il lavoro, il letto, il tavolo, lo sport obbligato, gli incontri obbligati.

Quando si sta vivendo nell'estasi, si sa che finirà, e quando sta finendo, si avverte.
E' come se un peso ti atterrasse tipo corvo obeso sulle spalle, mentre ti dici che in fondo sei ancora sulla cresta dell'estasi, ma la cresta si sta abbassando gradualmente, e il corvo si accomoda meglio con le sue cosciotte adipose e i suoi artigli cuscinettosi, fino a renderti gravosa ogni attività: la TV, il lavoro, dormire, mangiare, lo sport obbligato, gli incontri obbligati.

Il sottile confine, è bene averlo sempre sott'occhio,
starci vicini e varcarlo spesso,
cavalcarlo come Bodhi,
evitando di fare la sua fine.

mercoledì 14 marzo 2018

Sull'assurdità di iniziare le lezioni scolastiche alle 8


Sentir dire da parte di un adulto a qualche adolescente che il suo è il periodo più bello della vita denota rimozione.
Gli adolescenti hanno un sacco di casini, tutti non indifferenti, e a farne un elenco esaustivo servirebbe uno spazio non conforme al post.

Parliamo quindi solo di uno degli aspetti corrosivi della vita da studente: l'inizio delle lezioni alle ore 8 (spesso per terminare a metà pomeriggio, specie se si frequenta un professionale, quelle scuole dove la gente va per "sbattersi di meno").

Iniziare le lezioni alle 8 è un atto contro natura: vuol dire, nella più rosea delle ipotesi, alzarsi alle 7, nel cuore della notte, quando, nella maggior parte del periodo scolastico, è buio e freddo.
C'è poi un'ampia gamma di casistiche in cui ci si alza a orari indecenti come le 5, per motivazioni varie ma tutte validissime agli adolescenziali occhi:

  • ripassare per le 4 verifiche e 3 interrogazioni che ci sono nella giornata;
  • prendere una compilation di autobus per andare a incastrarsi in una compilation di corpi, pezzi di puzzle incastrati gomiti tra le costole, ginocchia tra gli incavi di ginocchia altrui, abbracciati agli zaini come naufraghi a una boa, ma in questo caso si direbbe più ad un boa, visto il contenuto di libri pieni di programmi ministeriali meravigliosamente e scientemente architettati dalla buonissima scuola;
  • truccarsi per due ore perché se no ci si sente brutte (la famigerata beauté de l'age è una leggenda metropolitana: si sente più figa un'ottantenne al circolo della briscola che una sedicenne alle superiori). Poi ci si sente brutte lo stesso, ma ci si è alzate alle 5 e le occhiaie premono sotto gli strati di fondo tinta, da ristrutturare durante tutte le ore, soprattutto quando ci si addormenta con la faccia nel portapenne per carenza di sonno;
  • ...
Alle 8 le classi sono vuote. 
Alle 8 anche il professore, che ha subito la stessa tortura degli alunni, ma non lo fa tutti i giorni, e poi finisce dopo 2-3-4-5 ore, è perlopiù in coma. 
Gli alunni che ci sono non chiacchierano: si limitano alle funzioni vitali di base, che non includono l'uso del cervello, ma solo respirare, tenere gli occhi vagamente aperti (anche se questo è un optional), mantenere un turgore muscolare tale da non afflosciarsi sul banco (totalmente opzionale anche questo, a giudicare dalla mollezza con cui i corpi poggiano su banchi e sedie). 
In sintesi, si limitano a respirare. 

Solo alle 9 arriva la maggior parte degli studenti. 
Alle 9 si può iniziare a lavorare.
Fino alle 12, ché poi subentra la stanchezza da troppo lavoro.
Che studiare non è mica come lavorare.
Studiare è faticoso. 
Prendere appunti per un'ora è come fare un lavoro d'ufficio o commerciale per 3-4 ore. 

Tanto varrebbe fare meno ore, farle meglio, iniziare alle 9, inframmezzare intervalli in cui con calma si possa andare in bagno, mangiare, rilassarsi, e al massimo fermarsi un po' di più al pomeriggio alternando lezioni, sport e momenti di studio in gruppo, ché non s'è mai visto un adolescente finire scuola alle 15, arrivare a casa alle 16-17 dopo il cocktail di autobus, pranzare all'ora della merenda e poi aver voglia di mettersi a studiare da solo. Alle 18. 

Comunque, la cosa bella dell'adolescenza, e anche della scuola, è che finiscono. 
Entrambe. 
Spesso

giovedì 8 marzo 2018

Elemento acqua

Quando sei in acqua, non è come quando sei nell'aria, che sembra una cosa che non c'è e invece c'è. 

L'acqua sembra una cosa che c'è, e infatti c'è. 

Il che implica che noi umani rileviamo un sacco di differenze rispetto all'aria. 
Innanzitutto ci bagniamo, il che ci porta a una maggior consapevolezza della sua esistenza, corredata da istinto canino  di asciugatura con scrollamento di tutta la nostra mole.

Quando ci immergiamo, ci sentiamo subito più compressi, più invischiati, più schiacciati, e al tempo stesso più inseriti in qualcosa che, a sua volta, è inserito nel mondo. 

Insomma, per proprietà transitiva, tutti gli immersi si sentono più inseriti nel mondo, in un empatico gorgoglio vicendevole. 

E' vero che non possono parlare tra di loro perché altrimenti si riempirebbero polmoni e stomaco d'acqua, né, se costantemente immersi, respirare, che è un'attività assai cara agli umani. 
E' anche vero che, se non sanno nuotare, rischiano di farsi avvolgere in modo definitivo dall'acqua, diventando elemento humus organico ma morto, attività assai meno cara agli umani rispetto al respirare. 
Ma chi ha detto che la Natura sia tanto amorevole nei confronti di noi umani?

Fatto sta ed è che, immersi in acqua, mentre il fluido ci trascina giù e ci rende più difficili i movimenti che nell'aria, al tempo stesso fa diventare le nostre braccia ali di albatros
Quello che ci stringe e ci costringe è lo stesso elemento che ci permette di fluttuare librandoci in tutte le direzioni, cosa che per aria ce la sogniamo, e di sentire il contatto con il tutto che ci tocca in ogni parte della nostra superficie. 

Quando del tutto fanno parte le pellicine e unghie affettatrici dei vecchietti incartapecoriti che si ostinano a fare dorso nella tua corsia in piscina, però, ti dici che le loro ali di albatros potrebbero anche tenersele all'aria, retrocesse a semplici braccia, e accontentarsi di camminare trascinandole come se fossero remi, e lasciando a chi sa farle le nuotate pindariche. 

venerdì 2 marzo 2018

Facilissimo


Quando si pensa al concetto di scrivere qualcosa, un post, o un racconto, o un romanzo, sembra facile.

E' un po' come quando si è studenti, soprattutto se si fanno studi liceali. Si vede il prof, e ci si dice: "Figo fare il prof, facilissimo: noi studiamo tutte le materie e lui una sola; noi stiamo qui un sacco di ore e lui solo 18", il che è anche vero, perché fare le superiori secondo me è una delle peggiori punizioni sociali imposte dalla legge, ma poi, quando ci si ritrova a fare davvero il prof, per di più in tempi contemporanei, ci si rende conto che non è così semplice.

Quando ci si dice che si potrebbe scrivere come professione, si prende il pc e si apre word.
Ci si ritrova quindi davanti alla pagina bianca con il cursore lampeggiante.
E ci si rimane.

In certi casi, poi, si parla con gli amici e, se sono abbastanza stimolanti, vengono fuori un sacco di idee. C'è anche l'amico dei titoli: quello che ogni tre frasi trova un titolo bellissimo per un racconto o un romanzo, e poi ti dice: "Dai, scrivilo!"
Io l'ho fatto, poi la casa editrice mi ha cambiato il titolo.

Comunque, al di là del titolo su cui ho scritto il mio ultimo romanzo, che è ancora disponibile per chi vorrà usarlo, magari per scrivere tutt'altra roba, da alcuni dialoghi escono titoli bellissimi, poi uno corre al pc, apre la famigerata pagina word, e ci rimane.
Davanti.
A fissare il cursore che lampeggia ramingo nel bianco.
Magari non nel bianco totale, se ci ha scritto sopra il titolo.
Ma forse, meglio il bianco completo.
Più poetico.
Più possibilista.
Più artisticamente contemporaneo.