LE COSE CHE SCRIVO IN QUESTO BLOG SONO FRUTTO DELLA MIA FANTASIA (BACATA).
QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALMENTE ESISTENTI E' CAUSALE.

mercoledì 28 settembre 2016

Il senso delle misure

E' risaputo che la mente dell'uomo e della donna sono diverse.

Tra le differenze, una che spicca è il senso delle misure, molto più presente nella mente del primo che in quella della seconda, che compensa abbondantemente con una lunga serie di altre capacità, tipo fare ottocentoventisette cose in contemporanea. Nemmeno una delle ottocentoventisette deve però implicare un'attività che richieda il senso delle misure, tipo parcheggiare, passare in strettoie con un'automobile, stimare lunghezze o larghezze (con i pesi va già meglio).

La donna tipo, quando deve passare in una strettoia guidando, ha diversi tipi di reazione:

  1. mantenere la velocità precedente, sia questa i 20 all'ora o i 120 (più corrente, soprattutto in città, nella categoria propensa a questa opzione), stringere le spalle nell'abitacolo, pregare gli dei in cui si crede, trattenere il fiato e cercare di tenersi il più centrali possibile rispetto al passaggio di intraprendere;
  2. inchiodare prima della strettoia e non ripartire più. Mai più, a meno che la suddetta non scompaia. 
Entrambe le reazioni, la prima del tutto folle e la seconda che potrebbe anche essere razionale, inchiodata improvvisa a parte (con tanto di rischio di tamponamento), avvengono però in presenza di 
strettoie piuttosto variabili. 

Nel vocabolario italiano, la strettoia è un tratto in cui una strada si restringe. Aggiungerei che ciò può essere causato dalla struttura in sé della via ma anche da ostacoli temporanei, tipo camion, automobili, impalcature, pedoni, ciclisti,...
Ma nel sentire comune, una strettoia che crei problemi è un passaggio veramente costretto, in cui, se si è in macchina, ci si ritrovi a passare lasciando massimo 10 cm a sinistra e 10 destra. 
La donna tipo ritiene strettoia anche il restringimento dell'autostrada da 5 a 4 corsie, il che è dizionariescamente vero, ma non richiede che si inchiodi/ci si fermi. Soltanto che si calibri il percorso.

Aggiungiamo che la scelta tra le due opzioni sopra elencate, inspiegabilmente, si orienta sulla 1 se la strettoia è veramente costrittiva e sulla 2 se si tratta di un restringimento che lascia a sinistra e destra margini dal mezzo metro in su, con il su che tende a infinito. 

Nel caso 1, ammissibile ma non concedibile in caso di neopatentamento, il comportamento farà sì che l'economia giri meglio, che i carrozzieri sopravvivano. Insomma, è un po' come l'apertura della stagione della caccia per regolare la fauna montana. Si tratta di un adattamento sociale alla piaga del fallimento delle piccole e medie imprese dell'automotive. 
L'opzione garantisce anche uno sfoltimento della popolazione, nel caso in cui gli ostacoli siano pedoni o ciclisti. Ciò potrebbe favorire una diminuzione dell'incremento di esseri umani sulla Terra, ma va sicuramente a detrimento dell'equa distribuzione nei vari territori, accadendo in aree già con rapporto nascite/decessi minore di zero.

Nel caso 2, assai più comune, si creeranno paradossali situazioni in cui una coda infinita di automobilisti incarogniti strombazzerà selvaggiamente, soprattutto nelle ore dell'alba in cui alcuni (s)fortunati non potranno concedersi di dormire fino a tardi come sarebbe loro facoltà. Si formeranno serpentoni di macchine fumanti furenti rombanti e con cofani e bauli più o meno sbriciolati dietro una Yaris bloccata davanti ad un camion e un marciapiedi distanziati l'uno dall'altro da due metri e mezzo a infinito. La donna in questione sarà paralizzata, appesa al volante con le nocche delle mani sbiancate dallo sforzo e dall'agitata concentrazione, a dirsi che di sicuro quello spazio là davanti è più stretto della larghezza della sua automobile. A chi è dietro conviene, in questo caso, chiamare in ufficio, darsi malato o tentare una manovra tipo stunt man a Mirabilandia

Fortunatamente la donna al volante potrà occuparsi delle sue ottocentoventisette attività contemporanee, tipo telefonare scrivere e-mail laccarsi le unghie farsi la ceretta truccarsi leggere il giornale fare yoga e meditazione aprendosi i ciakra con un magico apparecchietto oscillante, alienandosi della situazione contingente finché il camion non sia partito, ottimizzando il tempo ed eliminando fonti di immotivato stress. 

lunedì 26 settembre 2016

Foto perse


Sei in viaggio con la tua bella macchina fotografica avvolta nella custodia con tanto di zip, a sua volta inserita nel tuo borsino.
Stai camminando o guidando o pedalando o correndo e ad un certo punto vedi una scena perfetta, hai già in mente l'inquadratura, il risultato, e la scena è fugace, perché c'è qualcosa che si muove, e al tempo stesso ti stai muovendo tu, e sai che l'attimo da cogliere per scattare è questo preciso istante.

Ma l'apparecchio è avvolto e imborsinato.

E tu hai i riflessi di un pachiderma lobotomizzato che ha per errore ingerito un barattolo di sonniferi (con tutti i sonniferi dentro).

Il momento sfugge.

Non tornerà.

Eppure sarebbe venuta una foto bellissima.


giovedì 22 settembre 2016

Tiranno tempo - libero


Il tempo libero è un'entità cangiante da persona a persona e da epoca a epoca.
E' un mostro che si gonfia e si sgonfia manco avesse respiro proprio, acquista sfumature di nero (non cinquanta) e di bianco con tutte le tonalità che stanno nel mezzo.

Quando sei piccolo, a parte che, come è convintissimo Carofiglio (ma anche io, vedendo cosa mi succede man mano che mi incartapecorisco), il tempo è molto più dilatato, hai un sacco di tempo libero. A circa sette anni feci sul mio blog cartaeo (un diario su cui scrivevo le mie teorie) uno studio scientificissimo del tempo libero dei bambini dimezzando via via un quadrato raffigurante l'intera giornata. Già, nonostante la dilatazione e il non dover far quasi nulla in casa, ero angosciata dal fatto che otto ore dovessi passarle a dormire, altre a mangiare (era tempo occupato per me, all'epoca), altre ad andare a scuola e fare i compiti, per non parlare dell'accompagnamento di mia madre a fare commissioni per me oltremodo stupide per gran parte del pomeriggio. In soldoni, avevo dedotto che il tempo libero di noi (ora loro) bambini fosse 1/16 della giornata.
Crescendo il tempo libero, ammesso che sia 1/16 della giornata, normalmente diminuisce.
Il periodo del Liceo è una voragine, in cui si riduce tantissimo o, alternativamente, le rimandature e bocciature dilagano.
Quando si inizia a lavorare, paradossalmente, la situazione migliora, perché almeno a casa non si deve studiare. Ma poi si fanno cose ammazzatempo, tipo sposarsi fare figli.

C'è chi, saggiamente, non lo fa.

C'è chi, saggiamente, decide di fare il prof, magari di sostegno.
Si apre davanti a lui una quantità tale di tempo libero, soprattutto se prima aveva fatto altri lavori, meglio se due o tre insieme incastrati tipo Ravensburger, magari studiando per corsi e concorsi vari, che non gli par vero.

Tutto subito si dice che, mentre prima assaporava così tanto il poco tempo libero che aveva, adesso lo svaluterà.

E invece no.

E' come quando ti fai l'operazione per la miopia.
Dal primo istante in cui non hai più gli occhiali è come se non li avessi mai avuti. Se ti guardi indietro non credi a come tu possa aver vissuto decenni schiavo di lenti e lentine congiuntivizzanti.
Allo stesso modo, dall'attimo in cui sei tempoliberato, ti pare che l'unica vita possibile sia quella.

Annoiarsi? Ma figurarsi.

Ci sono così tanti libri da leggere, film da vedere, passeggiate da fare, persone da frequentare, sport da praticare, pensieri da pensare che potresti avere venticinque ore al giorno libere e non ti annoieresti.

Poi, di colpo, qualcosa ti corrode un po' del tempo che hai.
Un marito/moglie.
Un figlio.
Un cambiamento nel lavoro.

Finché sei giovane, puoi.
Giochi sulle dilatazioni.

Ma dopo una certa età, no, non puoi più.

Il tempo ti collassa addosso nel suo restringimento,
le giornate passano in due orette,
il tuo tempo libero non basta nemmeno adesso a fare tutto quello che facevi prima,
pur avendone in quantità relativamente enormi.

No,
non puoi sposarti
non puoi fare figli
non puoi lavorare di più.

Il tempo
(libero)
è tiranno.

martedì 20 settembre 2016

Scelte intelligenti


C'è un dubbio che mi toglie il sonno (insieme a tanti altri).

Ma perché mai una donna non sportiva, che ha fatto della non sportività una sua cifra distintiva, deve esigere nelle caratteristiche di un uomo da scegliere come compagno di vita e padre dei suoi figli che sia sportivo?

Ora, capisco che un uomo sportivo abbia un fisico più prestante rispetto a quello di uno non sportivo, anche se ciò non sempre accade e soprattutto prevede che oltre i 50 anni l'uomo sportivo sia totalmente sbriciolato e quindi rischi di non essere più autonomo nemmeno nel salire le scale, ribaltando il fisico più prestante della media in fisico meno prestante della media. Senza contare che chi ha praticato tanto sport e smette di colpo per via di ginocchia infrante schiena discobolica e altre amenità distruttive diventa sovente obeso tipo omino Michelin.

Posso anche essere d'accordo con il fatto che essere sportivi sia indice di perseveranza, resistenza alla fatica, organizzazione, tutte qualità che in un uomo sono apprezzabili.
Ma l'uomo sportivo passerà un sacco di tempo a fare sport, attività che ai suoi occhi è una figata pazzesca. Se tu sei una donna che per principio ripudia lo sport non la riterrai altrettanto figa come attività. In più avrai piacere di passare del tempo con l'uomo della tua vita, ma lui, quando uscirà dal lavoro, soprattutto se è uno sportivo vero, di quelli che se non fanno attività fisica o muoiono o fanno morire te con il loro nervosismo da crisi di astinenza, dovrà per forza andare a correre /ginnasticare/ nuotare/ tennisare /arrampicare/ discobolare/ curlingare/ pedalare/ piroettare/ saltellare/ pattinare/ nuotare/ kitesurfare/ windsurfare /polare /calciare /hockeyare e chi più ne ha più ne metta.

Per non parlare del tipo di vacanze scelte, imperniate per forza sullo sport, e se anche andrete in un resort all inclusive pieno di sdraio e buffet, dedicherà comunque parte del tempo a sfogarsi da solo nelle sue attività.

Se tu fossi una donna sportiva potresti fare sport con lui, ma dato che non lo sei dedicherai l'esorbitante tempo libero che ti rimane, al netto del lavoro e dello sport del tuo uomo, ai tuoi passatempi sedentari. Leggerai/ farai a maglia/ giocherai a pocker tressette dama scacchi/ farai bellissimi giri in autobus o tram per la città/ scriverai/ chiacchiererai con le amiche/ poltrirai sul divano/ cucinerai cercando di non fare troppi passi e di utilizzare il massimo numero di elettrodomestici tritanti sminuzzanti sbattenti per evitare che diventi un'attività troppo fisica.

Al netto di tutto ciò, la donna non sportiva passerà non molto tempo con l'uomo sportivo.
Trascorreranno insieme i momenti dei pasti, perlomeno la cena, in cui lui mangerà come un lupo cibi proteici e energetici e lei minestrina granini e robe veg. Magari qualche spesa, qualche cinema, qualche ristorante.

Insomma, la donna non sportiva per scelta passerà pochissimo tempo con il suo prescelto uomo sportivo.

Non mi torna qualcosa.



O forse sì.




Ah, ok, è per questo che lo sceglie.




Sono tarda, ma prima o poi ci arrivo.

domenica 18 settembre 2016

Quando succede davvero


Uno fa ingorde scorte.
Uno sa che poi succederà.
Succederà, che l'ispirazione se ne andrà.
Ma quando succede è un po' come quando sai che morirai e poi muori davvero.
Non è che ne abbia un'esperienza completa, solo parziale.
Della morte.
Della deispirazione ho un'esperienza completa.
Talmente completa che sono qui a cercare di scrivere bene di quando non riesci più a scrivere. Bene.
A scrivere. Punto.

Quando uno non riesce più a scrivere, è perchè è mancato l'attivatore.
Certo, si può pensare che si sia scemi a scegliere un attivatore che possa venir meno.
Il fatto è che l'attivatore non lo scegli, è lui che sceglie te.
Se no uno mica è fesso, ne decide uno che funziona sempre, tipo grattarsi a chiappe nude contro il tronco di un bonsai che si porta sempre dietro - farsi la pedicure - correre come un pazzo a perdifiato sul mondo che gira al contrario di come si va (ma questo è già rischioso perché non sempre la parti del corpo reggono) - masturbarsi - leggere libri di altri finochè cataratta non sopravvenga - eccetera.

Già ad esempio a me, leggere libri di altri, non so, quando sono incazzata perché non riesco a scrivere, mi fa incazzare ulteriormente. Leggo una bella frase e mi viene il nervoso. Ma perchè lui/lei sì e io no? Poi c'è già il fatto che lui/lei, se ho il libro in mano, è stato/a pubblicato/a, e invece io tapina faccio così schifo anche quando sono ispirata che mando al premio Calvino il libro più ispirato scritto ai tempi delle ingorde scorte e mi aspetto - se si ricordano - al più una lettera anonima di invito a partecipare alla premiazione altrui. Quando sono deispirata mica faccio come Enrico Vallesi, che manco era deispirato, provava solo la macchina da scrivere, ma digitava robe di altri e godeva come un riccio a vederle uscire dalla sua pigiata di tasti. No, io prendo il libro e lo scaravento contro il muro finchè la copertina rigida non si stacca dal resto dei fogli, lo scartavetro contro il bonsai dal ruvido tronco contro cui  talvolta sfrego le mie nude chiappe all'invano fine di trovare qualche brandello di ispirazione. Lo divido e me ne metto le due parti sotto le scarpe da ginnastica, legate con uno spago, per correrci sul mondo finchè non venga deteriorato da attrito sporcizia agenti naturali. Poi il libro si distrugge, ma è come i gremlins, ce ne sono tantissimi altri che proliferano, solo che qui sono belli, mica mostruosi, anzi sono mostruosi solo nella misura dell'invidia che ingenerano nella mia povera mente di scrittrice mancata bacata depremiocalvinizzata.

Quando decidi che ormai la deispirazione si è inesorabilmente impossessata di te, dopo esserti consumato fino all'osso di sfregamenti vari varie parti del corpo per capire se almeno la pedicure l'abrasione la masturbazione possano darti uno spiraglio di luce, decidi di lavorare come un pazzo (non al libro, al tuo lavoro secondario che ogni scrittore mancato/nte che non sia anche così sfigato da essere disoccupato ha). Ti incastri in puzzle lavorativi che manco Clemens Habicht, poi stai male perché vedi che quando inizi a subire questo informe mostro autocreato che prende vita propria e ti avvolge con le sue spire ineluttabili, soffri talmente che ti ammali psicosomaticamente, ti devasti così tanto psicofisicamente che ti metti in mutua, ma quando sei in mutua ci riprovi, ti piazzi là davanti al tuo monitor bianco, e non ti viene in mente nient'altro che l'idea che puoi solo tornare a lavorare disperatamente con febbre ai 42 moccolo al naso asma e inizio di paralisi corporea, per poi stare male perchè non hai tempo per scrivere cose che non puoi scrivere pur sapendo di doverle in qualche modo avere sulla punta delle dita, o forse in fondo a qualcosa del tuo corpo, ma molto in fondo, forse una roba sotto il diaframma.
Sì, ti sembra proprio che sia una roba che il diaframma blocca.
Prendi uno di quei cavapartelegnosadellananas, sì, mi sembra che a Ikea si chiami proprio così, o al massimo gkhjtiggrriskavij, una roba intuitiva che ti fa capire di che si tratti. Te lo pianti dove ritieni sia il diaframma e schiacci finchè non ti esce dalla schiena sto torsolo di te legnoso.
Un fiotto di sangue non pensato, distratto com'eri dall'intento primo, ti scende a fontanella dalla schiena.
Ti dici che tutto sommato
son soddisfazioni non essere quello che pulirà.
Ti dici che forse sui vicini di sotto
pioverà ABpositivo.
Ti dici che tutto sommato
magari quest'anno ti va bene,
che tutto sommato
essere pubblicato postumo
fa figo.

venerdì 16 settembre 2016

Conta chi conta


Immagina di uscire senza cellulare né orologio.
Dopo dieci minuti dai i numeri (anzi, più che darli, li vorresti, dato che ti mancano).
Sei in mezzo a una città senza sapere l'ora se non consultandola percorrendo itinerari affannosi tra una farmacia e un campanile,
non puoi fare ricerche su internet quando ti viene in mente qualcosa, se ti perdi non puoi usare gmaps per ritrovarti,
sapendo a che velocità vai e in che direzione.
Non puoi chiamare gente, whatsappare con loro, sapere chi ti ha scritto, insomma, una catastrofe che fa sì che tu torni a casa a prendere lo smartphone anche se stai andando al colloquio di lavoro più importante della tua vita e sei quasi in ritardo.

Immagina di andare in macchina senza contakm. Non sai a che velocità vai. Non sai se stai prendendo multe. Non sai quanta benzina consumi.

Se non sai, è come se non facessi.

Bisogna contare sempre tutto,
avere sempre il controllo di tutto,
quantificare percorsi km calorie fatica gioie dolori,
mettere tutto su bilance,
fare continui bilanci.

Se non conti, non conti.

Meno male che ho studiato contabilità.

martedì 13 settembre 2016

Morte lenta e polverizzata


La gente è fragile.
A volte se ne rompe un pezzo. Allora mette uno scotch. 
Poi se ne rompe un altro, allora mette un altro scotch. 
Poi si rompe in tanti pezzi insieme, allora si infila una grande calza di nylon tutt'intorno, si arrotola nello scotch o nella pellicola tipo bagaglio all'aeroporto. 
Dopo che si è rotta inizia ad aver paura di rirompersi, anche se ha già tutto l'ambaradan di nylon e pellicola intorno ad attutire. Allora si mette su uno spesso calco a cera persa colandoci poi una fusione di bronzo, che ne delimiti i contorni e guai a lei se ingrassa un po' se no l'involucro esplode. 
Il punto è che se il guscio protegge chi è dentro da ciò che è fuori, protegge anche ciò che è fuori da chi è dentro. Diventa un casino entrare in contatto con la realtà fuori e la protezione è per tutto ciò che arriva, sia il bello sia il brutto. 
Per scalfire tutto sto popo' di involucro è necessario che arrivi o qualcosa di bellissimo o qualcosa di bruttissimo. Solitamente le due cose finiscono con il coincidere, a lungo andare. 
E così, se arriva un bellissimo così magnifico da riuscire a pervadere un infagottato colossale, lui si sentirà brillare intensamente nonostante nylon scotch e bronzo e non gli sembrerà vero, ma si sa che il bellissimo facilmente e rapidamente diventa bruttissimo. Quindi, che ci sia il bellissimo prima o che ci sia subito il bruttissimo, la conclusione verte quasi sempre al bruttissimo, che penetra l'involucro con una forza milluplicata rispetto al terremoto di Amatrice. Uno si sbriciolerà in mille pezzi, manco gli fosse esplosa una bomba al Napalm nella corazza. 
Ma avrà intorno il nylon, la pellicola, il bronzo. 
I pezzettini minuscoli rimarranno tutti lì attaccati insieme. 
Da fuori si vedrà sempre il solito involucro di bronzo. 
Ora, però, uno metterà anche la pellicola rifrangicose bellissime o bruttissime. 
Se ne starà lì a morire lentamente rifrangendo tutto quello che gli rimbalza addosso. 
Del resto, è da quando si nasce che si muore lentamente. 
A volte più, 
a volte meno.
La volta dell'esplosione al Napalm più.

sabato 10 settembre 2016

Non sei tu, è la società


Ci sono giorni in cui si è annebbiati.

Ci sono giorni in cui deve esserci una nube tossica che si nutre del cervello delle persone e si trasferisce dall'una all'altra quando sono a meno di due metri di distanza e si rincitrulliscono all'unisono.

In uno di quei giorni mi viene in mente di andare a farmi rilegare dei libri.
Scendo dove di solito lego la bici, ma la bici non c'è. Uhhhmmamma, me l'hanno rubata, penso. Per fortuna ho in cantina quella di scorta tutta scassata senza catena e cagata da  innumerevoli mozziconi di sigaretta che hanno trapassato la rete di non-protezione della finestrella. Quando già sto spingendo a mo' di monopattino lo scassone B alla volta del ciclista, quel residuo di cervello che mi ritrovo mi fa pensare che la sera prima sono uscita in bici e sono tornata a piedi. Torno sui miei passi e vado a recuperare lo scassone A legato a un palo.
Mi avvio verso la copisteria.
Arrivata, mi accorgo che non ho la chiavetta.
Torino indietro. Cerco la chiavetta per mezz'ora, maledicendo il fatto che non si possa digitare "Trova" e immettere "chiavetta" per poi schiacciare con il cursore del mouse sulla lentina d'ingrandimento. La trovo.
Torno alla copisteria.
Mi accoglie un vecchietto barbuto tipo Babbo Natale ma più magro, più basso, con i capelli meno bianchi, senza renne, senza carrozza. Insomma, uno che di Babbo Natale ha solo la barba, anzi, forse è più un vecchio hipster che altro.
Gli dico che ho bisogno di due rilegature a caldo e lui mi invita a scaricare dalla mail il file perché non va il lettore di usb.
Torno a casa, mi spedisco il file sulla mail, torno alla copisteria, che intanto si è riempita di umanità mista manco fosse un'indagine Doxa.
Una di queste persone è una - direi - giovane cinquantenne dai candidi capelli lunghi intorno a un viso da bimba seppur rugoso, con un fisico che mi pare perfetto oltre ogni logica avvolto in un paio di jeans di quattro taglie più grandi da cui spuntano scarpe con tacco a spillo punitivo e una maglietta nera lisa. Appena apre bocca le esce una voce da bimba di circa quattro anni. Fruga tra gli annunci dicendo cose dissennate da sola: la contemplo nella sua magnifica demenza mentre scarico l'allegato da un pc.
Apro il portafoglio e mentre la stampante sputa a folle velocità i fogli del miei volumi mi rendo conto di non avere una banconota, né una monetina, manco da 1 centesimo e nemmeno il bancomat. Sono bei momenti. Guardo il vecchio con occhio appallato. Lui mi chiede cosa succeda. Gli dico che non ho nulla per pagarlo, che mi è anche sparito il bancomat. Lui mi dà una pacca sulla spalla e mi dice: "Traaaanquillaaaaaaaa, io i libri te li faccio, poi quando sistemi le cose mi paghi. In questa società malata bisogna pur ben cercare di fidarsi della gente". Gli rispondo che se mi hanno rubato il bamcomat son problemi. Mi fa: "Traaanquiiiilla, chiama per bloccarlo, fai le telefonate necessarie, poi con calma stampiamo e te ne vai con i libri".
Nel frattempo il suo dipendente-galoppino ha sistemato tutti i clienti, salvo la favolosa stordita, che continua a fare richieste di fotocopie degli annunci appesi con la sua vocina quattrenne. Ad un certo punto se ne va salutando con inchini e sorrisoni. Torna dopo trenta secondi: "Ho perso le chiavi della macchina, non è possibile, devono essere qui". Va e viene per un bel po' di volte, esclamando "Ma non è possibile, ero qui, poi sono andata là, ma come si fa? Devono essere qui per forza! Ohmmamma mia, ohmmamma mia". E in effetti la mamma sua invocata appare sulla porta tutta contrita. La tizia inizia a saltellare sui tacchetti per la stanza, mentre io telefono invano alla liberia  dove ieri ho pagato con il bancomat per l'ultima volta.
Il vecchietto le dice: "Traaaaanquillaaaa, non sei tu, è la società. Questa società è troppo frenetica, ci fa perdere la bussola".  Io gli faccio notare che lui fa orario continuato lunedì - venerdì 8-22. Ribatte che lo fa per lavorare con calma e che si gode la vita. Se lo dice lui.
Alla fine la mamma della svampita svanisce in una nube di profumo e torna prima che si sia dileguata del tutto con le chiavi in mano. La biancocapelluta inizia a ringraziare tutti, pure me, e ci bacerebbe anche ma per fortuna è timida. Saltella felice come una bimba, appunto, che stia facendo il salto alla corda in un prato in fiore.
Quando se ne vanno entrambe, il vecchio scuote la testa e dice "Certa gente è proprio deficiente. Sarebbe meglio usasse la testa prima di muoversi". Poi mi consegna i tomi con un sorrisone e mi dice: "Non ti preoccupare, non sei tu, è la società. Quando puoi portami 20 €".
Io so benissimo che sono io, non è la società.
Sono deficiente, ma non così tanto.
Vado via con il bottino.
Arrivo a casa.
Trovo il bancomat nel taschino della maglia da bici da corsa su cui ieri ho fatto un giro, dove l'avevo messo con un biglietto da 20 € pensando fosse la tessera sanitaria (caso mai mi sfigurassi in bici e mi dovessero riconoscere da quella).

L'ho detto, ci sono giorni in cui si è annebbiati.

Risalgo in bici.
Arrivo alla copisteria.
Do al vecchio i 20 €.

Una me parallela non gli dà un bel niente.
Arriva lì nottetempo e gli scrive su un post-it: "I 20 € non te li dò.
Certa gente è proprio deficiente. Sarebbe meglio usasse la testa prima di muoversi.
Comunque, traaaaaanqillo,
non sei tu, è la società".

mercoledì 7 settembre 2016

Dissidi istintuali


C'è questa padrona di due cani che li ama, dice che ha con loro un rapporto speciale, che loro la amano di un amore incondizionato e inumano, a dir poco canino, e che è meglio aver a che fare con loro che con gli umani. 
Poi passa un'estate di perdizione, immersa in salamini, impepate di cozze, mega grigliate irrorate da oli extravergini di sontuosa provenienza, e diventa un po' adiposa. 
Quando torna dalle ferie, decide di mettersi in forma, ma di prendere due piccioni con una fava, anzi di trainare una fava con due piccioni. 
E così, si allaccia due guinzagli in vita e ci attacca i suoi amati cani. 
Va a correre al parco.
Ora, per quanto scaberci siano i cani e ginnica sia la padrona in barba all'adipe, è risaputo che i ritmi non sono proprio simili.
Infatti i due quadrupedi tirano come indemoniati e lei fa da zavorra. L'unica speranza per i suoi animali autostrangolanti in lotta tra la sopravvivenza e l'istinto corridore è che l'eccessiva sudorazione cagioni uno scivolamento dei lacci e permetta loro di darsela a gambe.

Le domande che sorgono spontanee sono:
  • che senso ha voler zavorrare con la propria natura umana quella canina che è diversa?
  • sarà proprio vero che il cane ama il padrone in modo incondizionato? Queste due povere bestie, mentre stanno per sputare la lingua a terra, davvero non staranno pensando che vorrebbero rendere il favore alla loro padroncina strangolandola come lei sta facendo fare a loro, se solo fossero dotati di pollice opponibile? Ma soprattutto, se il cane è una creatura intelligente, perché ste due bestie da soma continuano a comportarsi masochisticamente? Richiamo dell'istinto troppo forte? Memoria a breve termine di durata brevissima, imparentati con qualche mosca? Semplicemente rinco? 
  • la padroncina amerà davvero i suoi cani, sottoponendoli a questo trattamento? Questo amore uomo-animale e le modalità che può usare l'uomo per dimostrarlo sono un'incognita piuttosto dibattuta
Mettere insieme a forza quello che non è predisposto per starci è un'attività a cui l'essere umano si dedica alacremente. 
I risultati sono spesso un po' soffocanti. 

martedì 6 settembre 2016

Eccessi eccessivi?


C'è gente morigerata e gente eccessiva.

La gente morigerata pare non superare mai i limiti della decenza, di se stessa, della società, del buon costume, della morale, di velocità.
Quella eccessiva li supera sempre, sia in negativo sia in positivo.

Uno può essere eccessivo in macchina sia se va ai 300 all'ora su una SP o anche su qualsiasi altra strada (in questo caso ha anche un conto in banca che gli permette un'auto che raggiunga cotanta velocità) sia se va ai 20 all'ora in autostrada. Certo, se ci si ritrova impaninati in una tangenziale o simili tra uno eccessivo in un senso e uno eccessivo nell'altro si passano brutti attimi prima della morte quasi certa, dove l'unica incertezza è scegliere se farsi tamponare ai 300 mentre si procede ai 130 o tamponare ai 130 quello che va ai 20. Qui qualche abile matematico o fisico potrebbe dare indicazioni su quale sorte sia minormente peggiore. Dato che non sono nulla di tutto ciò evito.

In ogni caso, l'eccesso consiste nel superamento di limiti, in un senso o nell'altro.
Ma i limiti quali sono?
Difficilmente si sa.
A volte il limite che si crede di avere è quello ipotizzato a tavolino con il proprio io.
Pochi si mettono a verificare che sia davvero così.

Se i nostri genitori, quando eravamo piccoli, ci hanno inculcato l'idea che per fare 100 km in un giorno sia necessario un mezzo di locomozione motorizzato, difficilmente verificheremo se per noi sia possibile coprirli a piedi, o con i pattini a rotelle, o in bici, o in skateboard, o a nuoto, o in windsurf, o a remi.
Poi magari capiterà qualcosa che ce li farà percorrere in altro modo, e capiremo che non era né impossibile, né spiacevole e nemmeno così faticoso. Il che significa che l'asticella del nostro limite si alzerà all'improvviso. Poi ci incuriosiremo e proveremo a farne di più...120...130...150...170...e ci riusciremo. Arriverà ovviamente un momento in cui o ci stuferemo di aumentare o scoppieremo, ma sarà spesso molto oltre il previsto.
Il punto è che mentre a 150 km noi, con la consapevolezza della prova saremo entro i nostri limiti, agli occhi degli esterni ipotesibasati saremo degli eccessivi pazzeschi.

I limiti personali veri e ipotetici, nonché quelli della decenza, degli altri, della società sono spesso diversi.
E cambiano nel tempo e nello spazio.
Come fare?
Provare, raggiungere, consapere (il corrispondente verbale di consaevolezza è consapere?), fregarsene del concetto di limite degli altri.
Ed essere considerati strani dal resto del mondo, ché tanto ormai la normalità non è più la norma.
Strano per strano, tanto vale esserlo per conoscersi un po' meglio.

giovedì 1 settembre 2016

Inseguimenti


Nel mezzo del cammin di un viaggio dove si incontrano tante persone che fanno le stesse tappe mi sono ritrovata a cenare con un'accozzaglia di gente messa insieme solo per quella sera, che comunicava amabilmente sulla base di quegli equilibri precari che sono perfetti perché durano lo spazio di un pensiero.

Nel campionario umano che circondava il tavolo c'era una coppia giovane giovane, e uno degli astanti aveva chiesto come si fossero conosciuti, come fossero finiti lì, eccetera. Insomma, le solite domande che si fanno a quelli che si conoscono da cinque minuti.
Il ragazzo si era messo a raccontare che era sempre stato uno scout e che sognava da anni di fare quel percorso a tappe a piedi e che lui e la sua ragazza si erano conosciuti due anni prima.
Lei annuiva sorridendo, tutta composta nel suo vestitino leggero che la faceva sembrare una bambolina di porcellana con gli occhioni azzurri, i capelli biondi da pettinare con la spazzola in dotazione inclusa nel prezzo e la funzione del collo annuente facente parte negli optional.
Il collo negante avrebbe comportato un sovrapprezzo che qualcuno non sarebbe stato disposto a pagare.
Il curioso pellegrino continuava con le domande. Aveva chiesto a lei se fosse felice di essere lì a camminare tutto il giorno sudando a fontanella e sbrecciandosi i piedi sotto il sole cocente. Lei annuiva sorridendo. Il ficcanaso continuava, indagando sul perché lei lo seguisse e se fosse felice. Lei aveva confermato di essere molto felice di seguirlo, che lo seguiva perché le andava, che le sembrava che la sua fosse una bella idea. Di perché eteroindipendenti non ne erano traspariti, anche perché probabilmente l'unico motivo per cui lei era lì era, come appunto si ripeteva da un bel po', seguire lui.

Già, certe donne, gli uomini, li seguono.

Poi ci sono quelle che si danno alla fuga e si fanno seguire, spesso INseguire tipo ricercate in mirabolanti piroette in mezzo alle cose del mondo (che poi bisogna capire se l'intento sia essere raggiunte o meno).

Affiancare è sempre la cosa più rara, come tutte quelle preziose.