LE COSE CHE SCRIVO IN QUESTO BLOG SONO FRUTTO DELLA MIA FANTASIA (BACATA).
QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALMENTE ESISTENTI E' CAUSALE.

venerdì 26 agosto 2016

Nostalgia del futuro


Da che mondo è mondo si suol pensare che essere vecchi sia qualcosa di brutto triste logorante (o logorato) e prospetticamente lugubre, e che essere giovani sia bello fresco allegro e prospetticamente evolutivo.

Non che siano cose sbagliate; certo da giovani ci si aspetta di evolversi (magari bene) in futuro, certo da vecchi ci si aspetta di morire, con il giorno del trapasso sempre più vicino e incombente.

Eppure io, quando vedo quegli anzianotti accrocchiati nei bar nel primo pomeriggio, con le biciclette vecchie come loro legate tutte insieme ai pali fuori, che chiacchierano allegramente e giocano a carte, rilassati perché non hanno da andare in nessun posto a bollare il cartellino, tranquilli perché - almeno loro - sono pensionati e percepiscono soldi mensilmente qualsiasi cosa facciano, basta che respirino, almeno un po', sono colta da una strana nostalgia per il futuro.
Non so per quale strano meccanismo, vorrei, almeno per un po', essere loro.
Una roba un po' come Hime-chan no ribbon.

Noi giovani, o anche noi non-vecchi (forse ho peccato di presunzione mettendomi in entrambe le categorie), prima cosa potremmo ancora morire prima di invecchiare, e già qui si registra un innegabile vantaggio dei vecchi rispetto a noi: loro sono sicuri di essere stati giovani e anche non-vecchi, noi non lo siamo per niente di diventare vecchi. Potremmo essere falciati in ogni istante da questo attimo più una frazione di secondo. La loro speranza di vita statistica aumenta giorno dopo giorno.

In più, hanno fatto praticamente tutto quello che dovevano fare. Lavori famiglie viaggi non-lavori non-famiglie non-viaggi. Ormai sono verso la fine, quel che s'è fatto s'è fatto, quel che s'è visto s'è visto. Non c'è più ansia di combinare qualcosa, angoscia di non farcela.

E le malattie? E il rincitrullimento? E l'infiacchimento del corpo? E le rughe?

Va beh, basta scegliere qualche vecchietto arzillo tirato dal chirurgo estetico che morirà nel sonno a 125 anni (Berlusconi no però).

Non si può sapere come morirà?
Nemmeno con una mappatura genetica?

Va beh, allora ci penso ancora un po', magari mi godo ancora la mia non-ancora-vecchiaia-non-più-giovinezza.

Poi, da vecchia, se ci arriverò, vedrò come sarà.
E scriverò un post consuntivo, con analisi degli scostamenti rispetto a questo.
Se riuscirò a centrare i tasti.

martedì 23 agosto 2016

Solitude-addicted


Quando uno è piccolo gli pare impensabile fare qualsiasi cosa da solo, foss'anche nutrirsi.

Poi cresce e pian pianino inizia a fare più cose, tipo imboccarsi, andare al bagno, attraversare la strada, e, pian piano che cresce, robe sempre più potenzialmente ansiogene, tipo andare a scuola a piedi da solo, andare a scuola a piedi da solo con attraversamento stradone, andare a scuola in autobus, andarci in bici, eccetera.

Insomma, man mano che uno cresce, il tasso di autonomia e anche di solitudine aumenta.

Poi, si iniziano ad avere conoscenti, nel migliore dei casi amici, nel più statisticamente campanato dei casi presunti amici, e il tasso di solitudine tenda a scendere.
Queste nuove compagnie magari si uniscono nei giri in bici, nei giri in autobus, e si introducono nuove attività che uno fa solo con loro, tipo pizzeria concerto discoteca pub ristorante cinema teatro passeggiate vacanze e altro che ora non mi viene in mente.

Dopo un po' uno si sposa e non sta quasi mai più solo, perché ha il compagno di vita al fianco, poi fa i figli e si ritrova sempre(o quasi) con qualcuno, fino a livelli soffocanti, finché separazione/ divorzio/ morte/ partenza dei figli per nuovi orizzonti non lo faccia ritrovare da solo.

Se invece uno sfugge dalle tappe comuni, non vi sfuggirà la maggior parte dei suoi amici o conoscenti o presunti amici.

Le due casistiche sfoceranno in un incremento di solitudine di ritorno, un rigurgito di preadolescenza, in cui ci si ritroverà, se si vorrà fare qualcosa, a farlo da soli.

La prima tappa è il cinema. Facile stare da soli al buio a guardare un film. E' addirittura meglio: nessuno che rompe le scatole, commenta, si lamenta che il film fa schifo, si incavola se uno va via quando fa schifo a lui.

Poi i musei, già un po' più difficili, perché uno è alla luce del giorno, ma pure lì evince che è molto bello andare al proprio ritmo senza nessuno che frena facendosi aspettare o mette fretta perché si è stufato. Si possono assecondare tutti i propri reconditi desideri ritmici museali. Una libidine di armonia con se stessi.

Man mano che si scopre di poter far da soli, si affrontano sempre nuove prove.

La vacanza da soli.
Non con Avventure nel mondo.
Da soli, ho scritto.
Partire è una specie di violenza contro se stessi.
Poi basta il primo passo che tutto diventa più semplice, quasi naturale, più "ma come ho fatto a cagarmi in mano così tanto?"

Il ristorante da soli.
Si affronta il primo impatto autonerdificante, quando il cameriere chiede quanti si sia e uno deve dire "Da solo". Lì è tremendo, si vorrebbe fuggire, rinunciare al pasto, ed è tanto più atroce quanto più il cibo che si prospetta è allettante. Andare in un ristorante stellato  a lume di candela da solo è molto più sfighificante che andare al Mc Donald's da solo a sbrodolarsi il Keddar misto a maionese sui pantaloni al primo morso.
Ma quando si inizia a mangiare piatti preparati con cura si cambia un po' idea. Ci si può sollazzare con le creazioni dello chef senza preoccuparsi dell'alternanza masticata-conversazione, per cui se uno si gode il cibo in silenzio è un asociale, se parla mangiando è un maleducato che non mastica con la bocca chiusa, se parla e basta fa freddare il piatto e si ritrova la pasta così gommosa che andrebbe meglio per giocarci al pallone elastico dopo averla compressa con rotazioni parallele dei palmi delle mani a formare una sfera perfetta.

Il concerto da soli.
Ci si mette in un angolo con lo sguardo fisso sul palco, l'occhio un po' stretto, si ondeggia leggermente a ritmo di musica, bicchiere di birra in mano, si fa gli intenditori anche se il concerto fa schifo. Anzi, in questo caso si va via.

C'è poi la discoteca da soli.
Quella è un bello scoglio.
Se si è uomini soli in discoteca si passa facilmente per maniaci sessuali pronti a puntare una preda con quei 20-30 anni in meno. Poi a volte la preda è pure contenta. Dipende.
Se si è donne sole in discoteca si passa facilmente per ninfomani alla ricerca di qualche toyboy. Poi a volte si è pure contente. Dipende anche qui.

Nella maggior parte dei casi, comunque, da soli si ha la scelta tra rimanere tali o conoscere qualcuno di nuovo senza chat, facebook, forum, whatsapp, solo con la propria presenza. Tutto gratis, tutto in real time. Può avvenire. Sì. Anche senza il wi-fi.

Il punto è che, più passa il tempo, più si impara a fare cose da soli, più difficile è adattarsi a farle con altri.
E' un percorso ineluttabile e irreversibile.
Non bisogna mai iniziare a fare cose da soli.

La solitudine crea dipendenza.

Andate in vacanza con Avventure nel mondo.
Andate a fare viaggi organizzati.
Andate alle riunioni di Anobi.
Andate alle cene dei forum.
Andate alle feste con i colleghi.
Andate in famiglia.
Andate a trovare nonni cugini parenti di secondo terzo quarto n-esimo grado.

Soprattutto non muovetevi mai da soli senza aver prima trovato gente a caso, imposta da situazioni/sangue/necessità e non scelta, con cui litigare aspettare farvi aspettare stufarvi disgustarvi pettegolezzarvi.

E, se mai vi capitasse di diventare solitude-addicted, ci sono sempre i solitude-addicted-anonimi, ché almeno lì si conosce un po' di gente per combattere la solitudine.

domenica 21 agosto 2016

Ha sposato bene



La corsa cuneese riserva continue sorprese.
Dopo la reversicorridrice, ecco che incrocio una coppia che chiacchiera a proposito di due fratelli. Colgo lo stralcio di conversazione in cui lei dice a lui: "Uno dei due HA SPOSATO BENE".
Ha sposato bene? Ma che è?
Intanto proseguo e i miei pensieri, che si risolvono in un puntiforme attimo, si potrebbero snodare più o meno così:
  • bene forse è Bene, e si tratta di una tal Benedetta;
  • bene come avverbio potrebbe voler dire che è convolato a giuste nozze con la donna della sua vita e saranno sempre felici e contenti finchè morte non li separi (e nota bene, felici & contenti; non avevo notato fino ad oggi quanto, perfino nelle fiabe, sia necessario iterare il concetto bisfumandolo). Certo, avrebbe potuto dire "si è" invece che "ha", ma qui siamo a Cuneo, la gente dice cose strane.
Siccome il pensiero sviluppato in ben cinque righe è in realtà istantaneo, posso aggiungervi l'immediata decisione di invertire il senso di marcia in retrorunning, che è così di moda anche qui a Cuneo come nel resto del mondo da passare inosservato ed avere l'indiscutibile ventaggio di dare l'impressione che ci si allontani mentre in realtà ci si avvicina. 

Aggiungendo dati intercettati poliziescamente alla frase prima carpita ladrescamente, scopro cosa s'intendeva per bene: sostantivo indicante oggetto disponibile in quantità limitata, reperibile per localizzazione e soprattutto per prezzo, e utile, cioè idoneo a soddisfare un bisogno, una domanda.

Anche a Cuneo si ha una ben chiara idea delle basi del matrimonio. 


sabato 20 agosto 2016

Esercizi

Mentre faccio jogging raggiungo una tizia tutta fashion che corre al contrario su una salita.

La cosa è resa possibile dall'assenza completa di gente all'alba del sabato di festa. Altrimenti avrebbe già investito carrozzine esseri umani animali e paletti. No, i paletti li investe lo stesso, infatti corre pianissimo e si gira tutto il tempo.
Stranezza: siamo a Cuneo, mica in Francia che puoi anche correre nudo sulle mani e nessuno ci fa caso. La gente ti osserva analizza giudica. Se lei è fashion e fa ciò, deve per forza esserci un motivo, una moda.

La affianco, e vorrei chiederle perché. Immagino che possa cagionare qualche beneficio fisico, mi pare l'unica spiegazione. O magari hanno organizzato una gara al contrario, ma, a giudicare dalla sua steatopigità escluderei quest'ultima ipotesi.

Non posso chiederle perché. Siamo a Cuneo, mica in vacanza. Mica si può socializzare con chiunque respiri sparando frasi a caso. C'è un clima di rientro, anzi no, perché pare che al mondo esistiamo solo io e lei in questo momento, comunque qui sento che si debba essere grigi e individualisti e asociali.

Alla fine non resisto, perché tutto sommato io in vacanza ci sono ancora, sono solo in una breve parentesi cuneese e posso non integrarmi del tutto nell'asocial mood per due giorni.
Mi affianco e le chiedo perché mai stia correndo all'indietro su una salita.
Lei mi guarda stupita, poi riflette un po', e decide di squarciare anche lei il muro di cuneesità.

"Beh, è chiaro, corro all'indietro perché così mi sembra di essere in discesa!"

Esercizio di un vizio molto comune
rivisitato in chiave creativa:
ingannare se stessi.