LE COSE CHE SCRIVO IN QUESTO BLOG SONO FRUTTO DELLA MIA FANTASIA (BACATA).
QUALSIASI RIFERIMENTO A PERSONE O FATTI REALMENTE ESISTENTI E' CAUSALE.

lunedì 22 dicembre 2014

Fashion victim






La moda è una strana cosa.

Tu pensi di non farci caso, ma alla fine ci fai altro che caso.
Sia quando sei alla moda sia quando sei fuori moda.
Oltretutto non essere alla moda diventa difficile, perchè nei negozi ti vendono quello che vogliono loro e tu ti adatti. 
Un po' come quando guardi i last minute e pensi di scegliere una vacanza mentre te la scelgono loro.

Prendiamo i jeans.
Prima dovevano essere stretti in fondo, poi larghi in fondo. Ad un certo punto se non erano lunghi la gente ti chiedeva se avevi l'acqua in casa; adesso se non li hai corti - e, se sei ciofane, anche cortissimi e senza calze, soprattutto in inverno - sei uno sfigato.
Ho sempre pensato di essere indipendente dalla moda, ma ieri sono uscita di casa con un paio di pantaloni comprati nel 2003 e dimenticati nell'armadio, mai usati.
Giravo per la città con questi jeans a zampa di elefante e mi guardavo intorno.
Non c'era una sola persona che avesse pantaloni del genere.
Ho iniziato a guardare tutti e a constatarne l'abbigliamento.
Perfino i barboni che elemosinavano sotto i portici avevano i pantaloni stretti in fondo.
Ero l'unica in tutta Torino con i pantaloni a zampa di elefante.
Mi sono sentita come se stessi andando a una festa revival anni '00 o anni '70.
Mi sono sentita una sfigata.
Ho constatato con dolore e senso di smacco di essere una fashion victim.
Sono tornata a casa.
Ho cambiato i pantaloni.
Ho messo quelli stretti in fondo.
Quelli a zampa di elefante li terrò per gli anni prossimi.
Tanto ritorneranno.
Come gli alieni.

giovedì 18 dicembre 2014

Fedeltà alimentare


In aeroporto, si sa, ci sono sfilze di fast food uno dietro l'altro, tutti vicini, tutti in competizione.
Ad esempio ero in un aeroporto dove c'era KFC attaccato al Mc Donald's. Dentro il KFC c'era una bionda mozzafiato vestita in borghese, che dava ordini ai vari galoppini neoassunti studenti partime.
I galoppini galoppavano e lei era tutta presa nel suo ruolo dirigenziale. Era talmente presa che si sa, ad un certo punto, quando si è così presi dal lavoro, non si vede più dalla fame.
E infatti lei è uscita con nonchalance dal KFC, si è messa in coda davanti al Mc Donald's, ha comprato un bel Big Mac Menù, e, con il vassoio, è rientrata dietro le quinte del KFC.
Nel lavoro l'importante è essere uno stakeholder di chi ti dà da mangiare. 

martedì 9 dicembre 2014

Essere quello che si è inventato sliding doors


http://www.mymovies.it/film/1997/slidingdoors/
Quando si è davanti a un bivio e si deve decidere in fretta cosa fare, si dice che è una situazione alla sliding doors.
Qui non si vuole parlare del dubbio, del bivio, ma di quelli a cui era venuto in mente. Moltissime persone. Già Schopenhauer diceva che ogni scelta comporta grande sofferenza prima, durante e dopo.
Per non andare a scomodare grandi del passato, si può pensare alle storie a bivi che c'erano in tutte le librerie negli anni '80. Eppure raramente uno dice "Mi sono trovato davanti a un bivio", e men che meno "Mi si è posta davanti una scelta schopenhaueriana". Si dice "Era una situazione alla sliding doors". Insomma, questo Peter Howitt si inventa una commediuola nel 1997, la commediuola diventa un successo internazionale e noi, anche noi italiani, quandi ci troviamo davanti a un bivio o a una situazione schopenhaueriana che diciamo? Diciamo che era una situazione "alla sliding doors".
Insomma, un filmetto carino d'intrattenimento diventa proverbiale in mezzo mondo. 
Alla facciaccia di chi l'aveva detto prima.
E senza apparenti motivazioni.

Sarebbe interessante essere quello che si è inventato sliding doors.
Un modo come un altro per diventare immortali, anche se poi, il nome di Howitt, pochi lo ricorderanno.

venerdì 5 dicembre 2014

Politica (scolastica) vs scuola (letteraria)


Ero tutta contenta di andare al Circolo dei lettori ad ascoltare la presentazione del libro di una mia ex collega, Raffaella Grisotto, che ha scritto "Diciotto ore".
Ho chiamato vari amici e siamo arrivati. Lei era là, tutta ben vestita, come ci si può vestire per presentare un proprio libro, con un vestito senza maniche. Io gelavo con il maglione ma immagino (molto ipoteticamente) che presentare un proprio libro faccia venir caldo.
Ci siamo seduti tutti e un'attrice ha iniziato a leggere estratti del libro. L'attrice era molto brava. Ero curiosa di sentire cos'avesse da raccontare Raffaella sul libro, sulla sua genesi, ero contenta che l'attrice fosse così brava e speravo che leggesse molto.
Mancava solo lei, l'assessore al lavoro, istruzione e formazione professionale. Era in ritardo. Nessuno se n'era accorto.
Poi, dopo dieci minuti, è arrivata.
Tutti se ne sono accorti.
Ha iniziato a parlare di politica scolastica.
Un fiume di parole ininterrompibile.
Ogni tanto l'autrice e l'editrice hanno provato a inserirsi, prendendo fiato, ruotando la testa verso di lei, alzando timidamente un indice.

Ma niente.
La Pentenero riempito tutto il tempo a disposizione per la presentazione di banalità scolastiche trite e ritrite.Nel pubblico, le testa andavano giù come birilli a uno strike.
Alcune andavano su, accompagnate da facce un po' indignate e da gesti di tentato intervento.
La Grisotto è riuscita a elaborare una replica di circa tre minuti al discorso-fiume, che è poi in qualche modo ricominciato con scuotimento della testa da parte del pubblico. 
Il tempo a disposizione è finito.
Siamo stati cacciati dalla sala.
Il libro è stato presentato per un quarto d'ora scarso su un'ora.
Gianna era molto soddisfatta del suo discorso, preparato in modo immutabile ed esposto in modo inobiettabile. Non perchè non lo fosse, ma perchè le parole erano inarrestabili e gli astanti educati. 
Tipica dimostrazione di come la politica si cali nella realtà scolastica e dialoghi con essa, lasciandole i suoi spazi espressivi.

mercoledì 3 dicembre 2014

Amo le attese e prima o poi butto lo smartphone nella pattumiera






In questa vita rutilante in cui ci si sposta sempre trafelati dappertutto facendo settanta cose insieme si corre il rischio di diventare meno osservatori, di fermarsi sempre meno a guardare cosa succede intorno, al punto di spostarsi a piedi in bici in macchina con lo sguardo e l'udito semiimmersi nello smartphone, presi da una vita che non è mai lì con noi ma sempre altrove. E così il qui ed ora passa in fanteria. Ce lo perdiamo, vivendo non nel passato, e nemmeno nel futuro, ma semplicemente in un compresente altrove.

Anche su questo ci sono da scrivere parecchi post, ma il blogger rischia di perdere un sacco di post-occasioni ghiotte perchè non si guarda più intorno. E poi, vuoi mettere il lusso di osservare quietamente quello che c'è intorno senza altre distrazioni? Una volta capitava spesso, ora rarissimamente. C'è sempre una notifica che arriva sullo smartphone.
E così la gente intorno vive, parla, ci sfiora senze che ce ne rendiamo conto.
E così, quando capita di essere in una coda, o aspettare qualcosa, si sbuffa, ci si agita, non ci si gode il momento. E ci rituffa nello smartphone, rifugio finale di ogni momento altrimenti sospeso. Di quelli che non sapresti dove mettere le mani, che fare, dove guardare. Comodo. Ma in realtà le attese sono momenti goduriosissimi di osservazione di se stessi e degli altri.
Pensate quando si aspetta qualcuno fermi in un posto. Passa un sacco di gente, si ascoltano molti frammenti di discorsi, c'è tutta una vita intorno da osservare.
Poi, a volte, c'è gente che ti serve il post su un vassoio d'argento.

Magari stai partendo in macchina per andare a lavorare, hai già messo la freccia, hai già girato le ruote, quando arriva una bionda patinata con il SUV del marito presumibilmente medico o avvocato immersa nel suo smartphone fino al midollo, con tanto di cuffie nelle orecchie, parcheggia a 3 cm dalla portiera, lungo tutta la tua auto, e, mentre cerchi di attirare la sua attenzione con gesti a lei invisibili e clacsonate per lei inudibili, scende e se ne va. E allora tu attendi, e ti studi un bel post che descriva l'impossibilità di accorgersi della vita intorno quando si è distratti dalla vita altrove.

Magari vai in Posta, ti siedi lì, e invece di immergerti a tua volta nello smartphone, ti guardi intorno. Se sei fortunato scoppia una bella lite. Non devi nemmeno esserlo troppo. Scoppia spesso. A volte per colpa dei dipendenti delle Poste, a volte per colpa dei clienti, a volte per colpa di entrambi.
L'altro giorno c'era un vecchietto trepidante che faceva tanti scattini con le gambe in attesa della chiamata del suo numero. Quando, dopo 3 minuti che era lì, minuti che a lui saranno probabilmente parsi 3 ore, è comparso sullo schermo il suo C6, si è fiondato su uno sportello chiuso dietro cui l'ignara direttrice stava mettendo a posto faldoni.
Direttrice: "Mi spiace, lo sportello è chiuso"
Agitatone: "Ma hanno chiamato il mio numero"
Direttrice: "Sì, certo, ma l'hanno convocata allo sportello indicato nel tabellone a fianco del suo numero, il 5"
Agitatone: "Ma cosa dice, io dovevo venire qui, è chiaro, perchè c'è lei qui che non sta ricevendo nessuno e non sta facendo un tubo!"
Direttrice: "Veramente sto facendo un altro lavoro di back office"
Agitatone: "Lavativi che non siete altro, voi siete qui per prendere in giro la gente, dovreste venire un po' a lavorare con me per capire come si lavora!" e intanto aveva visto il tabellone, con scritto a chiare lettere che avrebbe dovuto andare allo sportello 5 e non all'1, ma ormai era diventata questone di principio. Vacillava internamente, ma insisteva esternamente.
Direttrice: "Provi a venire a lavorare con noi, per capire".
Quando l'agitatone è salito in piedi sul poggiagomiti dello sportello 1 gridando e battendo pugni sul vetro, 2 persone su 45 in sala d'attesa hanno distrattamente sollevato gli occhi dallo smarthpone per circa 10 secondi.
Al che mi sono detta che forse, in questa società di alienati, c'è speranza.
Qualcuno ancora reagisce alla vita qui ed ora.
Poco, ma basta poco.
Meglio di niente.

lunedì 1 dicembre 2014

Accorgimenti di rara intelligenza per non morire in bici sulle strade statali



La difficoltà della vita del ciclista-lavoratore è direttamente proporzionale alla distanza di casa sua dal luogo di lavoro e anche della quantità di provinciale o peggio statale che deve percorrere.
Insomma, è vero che in città c'è casino, gente che guida senza saper guidare, donne ai volanti pericoli vaganti (ma anche gli uomini non scherzano), ma almeno vanno realativamente piano e permettono ai cicloriflessi di operare in modo abbastanza salvifico. Quando si passa sulle strade esterne alle città ci si ritrova a combattere con battistrada piccolissimi sul ciglio del fossato a destra e camion roboanti e spostanti metri e metri cubi d'aria a sinistra. Quando ci si ritrova in questo amabile incastro, a volte si pensa che si tratti del proprio ultimo istante di vita, e ci si dice che in fondo in fondo la bici non è così sana per mantenersi in forma. Poi, dipende anche da a che forma si riferisce. Anche quella delle lasagne è una forma. La stessa che si può assumere se il camion in questione ti passa sopra. Quella del fosso, con i bassorilievi del negativo delle pietre che stanno sul suo letto, è una forma di grande tendenza, ma, personalmente, preferisco conservare quella che mi hanno dato i genitori. L'accorgimento, allora, non é starsenene sul ciglio recitando ave maria, ma stare in mezzo. Lo dice anche la FIAB. E così, l'altro giorno, in una nebbiosa mattinata di novembre, ho pedalato sulla famigerata statale 20 della Loggia totalmente in mezzo alla carreggiata. Ovviamente senza fari nè giubbottino giallo, ché già sudo come un bue muschiato con la maglietta traforata del Decathlon. Il camionista in questione, che sicuramente mi avrebbe scaraventata nel fosso con una spinta d'aria ai 90 km/h, o magari agganciata con uno di quei pezzi che sporgono pericolosamente ad altezza manubrio, è dovuto rimanermi dietro.
 Si è formata una carovana di pachidermi camionistici dietro di me, tutti che avanzavano ai 25-30 all'ora.
Ho pensato che avessero solo da ringraziare che sono allenata.
Più scalpitavano con accelerate stizzose, più mi sentivo in mano un potere incredibile.
Il potere carovanizzante.
Il tutto è andato avanti per circa tre chilometri.

Comunque questi tatuaggi realistici a forma di doppie ruote sulla schiena sono un sacco di tendenza.
Non vedo l'ora di sfoggiarli in spiaggia l'estate prossima.